Paradossalmente la fine di Napster, invece di sconfiggere o quanto meno frenare la pirateria informatica, la incoraggiò, perchè in seguito nacquero altri programmi simili e più potenti del defunto Napster. Tanto per citarne qualcuno, Shereaza, BearShare, eMule, BitTorrent, sono i più usati per condividere qualsiasi tipo di file. (Con Napster era possibile condividere solamenete file mp3). I programmi in sè sono legittimi, ma il loro uso si rivela tutt'ora in gran parte illecito. La pirateria continua come e più che ai tempi di Napster, favorita anche dalla banda larga e quindi dall'aumentata velocità di download. Con un programma peer-to-peer si può trovare di tutto. La probabilità che un utente domestico fosse colto in flagranza di reato era pressochè nulla fino a qualche mese fa, anche perché i provider si erano rifiutati di dare gli indirizzi IP alla Polizia, in pratica si erano rifiutati di fare gli sceriffi del web. Era un compito che a loro non competeva. Questo ha fatto sì che che l’utente spesso non era, ma non lo tutt'ora, consapevole di violare la legge. O, se lo è, è convinto che l’apparente anonimità in rete gli possa garantire, chissà perché, una qualche forma di immunità.
Ma quello che è successo poche settimane fa e sta succedendo anche adesso forse segnerà la fine del peer-to-peer illegale, o almeno ne ridimensionerà le proporzioni. Almeno questo è il desiderio delle case discografiche, non certo di chi usa i programmi peer-to-peer.
La società discografica Peppermint, avvalendosi di una società svizzera, la Logistep , ha tracciato gli indirizzi IP di circa 4.000 utenti italiani che “scaricavano” illegalmente e ha dato mandato ai propri legali di ottenere i dati di questi utenti. Dopo una prima sentenza sfavorevole, i legali hanno presentato ricorso presso il Tribunale di Roma e il giudice, accolto il ricorso, ha ordinato a Telecom Italia di associare agli indirizzi IP i dati personali degli utenti che condividevano mp3 della Peppermint. Il fatto è storico, perché per la prima volta un tribunale avalla le intenzioni di una casa discografica che, in pratica, decide di farsi giustizia da sé. Conclusione della storia: sono state spedite 4.000 raccomandate in cui si impone ai malcapitati “scaricatori” di rimuovere dal proprio computer gli mp3 illegalmente condivisi e gli si affibbia una multa simbolica di 350 € a testa. In pratica un patteggiamento, per evitare la denuncia e il procedimento penale e quindi il rischio di pagare una cifra molto più sostanziosa. Siamo di fronte a un’inversione di tendenza? Bisognerà aspettare un po' di tempo. Si sa che quando il gioco si fa duro, le armi vengono affilate da entrambe le parti.