domenica 27 maggio 2007

eMule e raccomandate

L’antesignano dei programmi peer-to-peer si chiamava Napster. Tutti lo ricordano. Era un programma di pochi Kbyte, nato nel "lontano" 1999 e permetteva con estrema semplicità di ricercare, scaricare e scambiare files mp3 con altri utenti connessi in quel momento ad Internet. Lo scambio e il download erano illegali, se riguardavano materiale coperto dai Diritti d'autore. Tuttavia la normativa vigente in materia all'epoca era molto nebulosa se non inesistente. E allora tutti si affrettavano a scaricare a manetta, senza paura, riempiendo di centinaia di canzoni i propri computer. Quello che avvenne in seguito è storia nota. Le major insorsero, il nostro governo varò provvedimenti che sono tutt'ora in vigore. Col Decreto Urbani del marzo 2004, convertito poi nell'omonima Legge del 18 Maggio 2004, si stabilì che lo scambio, attraverso programmi di file sharing, di materiale protetto dai diritti d'autore , è illegale. Chi trasgredisce va incontro a sanzioni amministrative e/o penali. Napster fu "spento" nel Luglio 2001.
Paradossalmente la fine di Napster, invece di sconfiggere o quanto meno frenare la pirateria informatica, la incoraggiò, perchè in seguito nacquero altri programmi simili e più potenti del defunto Napster. Tanto per citarne qualcuno, Shereaza, BearShare, eMule, BitTorrent, sono i più usati per condividere qualsiasi tipo di file. (Con Napster era possibile condividere solamenete file mp3). I programmi in sè sono legittimi, ma il loro uso si rivela tutt'ora in gran parte illecito. La pirateria continua come e più che ai tempi di Napster, favorita anche dalla banda larga e quindi dall'aumentata velocità di download. Con un programma peer-to-peer si può trovare di tutto. La probabilità che un utente domestico fosse colto in flagranza di reato era pressochè nulla fino a qualche mese fa, anche perché i provider si erano rifiutati di dare gli indirizzi IP alla Polizia, in pratica si erano rifiutati di fare gli sceriffi del web. Era un compito che a loro non competeva. Questo ha fatto sì che che l’utente spesso non era, ma non lo tutt'ora, consapevole di violare la legge. O, se lo è, è convinto che l’apparente anonimità in rete gli possa garantire, chissà perché, una qualche forma di immunità.
Ma quello che è successo poche settimane fa e sta succedendo anche adesso forse segnerà la fine del peer-to-peer illegale, o almeno ne ridimensionerà le proporzioni. Almeno questo è il desiderio delle case discografiche, non certo di chi usa i programmi peer-to-peer.
La società discografica Peppermint, avvalendosi di una società svizzera, la
Logistep , ha tracciato gli indirizzi IP di circa 4.000 utenti italiani che “scaricavano” illegalmente e ha dato mandato ai propri legali di ottenere i dati di questi utenti. Dopo una prima sentenza sfavorevole, i legali hanno presentato ricorso presso il Tribunale di Roma e il giudice, accolto il ricorso, ha ordinato a Telecom Italia di associare agli indirizzi IP i dati personali degli utenti che condividevano mp3 della Peppermint. Il fatto è storico, perché per la prima volta un tribunale avalla le intenzioni di una casa discografica che, in pratica, decide di farsi giustizia da sé. Conclusione della storia: sono state spedite 4.000 raccomandate in cui si impone ai malcapitati “scaricatori” di rimuovere dal proprio computer gli mp3 illegalmente condivisi e gli si affibbia una multa simbolica di 350 € a testa. In pratica un patteggiamento, per evitare la denuncia e il procedimento penale e quindi il rischio di pagare una cifra molto più sostanziosa. Siamo di fronte a un’inversione di tendenza? Bisognerà aspettare un po' di tempo. Si sa che quando il gioco si fa duro, le armi vengono affilate da entrambe le parti.
Intanto eMule ha implementato un sistema di "offuscamento" del traffico, in modo che non si possa capire la natura dei dati trasferiti e quindi non li si possa bloccare.

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